lunedì 6 aprile 2009

Tomarmorimon

<<Quell'alba!

28 dicembre 1908 ...fu poco prima delle 11 - cioè dopo circa sei ore - ch'io riebbi l'aria e rividi la luce: sei ore di atroce agonia!

Appena quella scossa diabolica mi ruppe il sonno, balzai dal letto fulmineamente, trascinando meco mia moglie presso l'unico figlio undicenne, Felice, stringendoci tutt'e tre in un gruppo: tutto ciò durò, forse un secondo: ma subito dopo perdetti i sensi, piegandomi, svenuto, sulla sponda del letto di mio figlio: e così rimasi per tutta la durata - trenta secondi, come dopo appresi dagli altri - di quella tremenda scossa; seguì un attimo di quiete; nel quale, riaprendo gli occhi, intravidi davanti a me per l'ultima volta, e la rivedo ancora come allora, mia moglie: un'immagine bianca: dopo, un altro attimo di scossa vorticosa, violentissima, rabbiosa: il colpo di grazia di quella catastrofe.

Quindi un silenzio di morte, peggiore della morte.

Quel vortice bestiale, salito dalle profondità della terra, mi percorse ogni fibra come una corrente elettrica.

Ne restai sepolto - vivo: vivo? certamente sepolto, ma non era chiara la sensazione di vita e di morte:...finalmente potei dare un urlo: mi rispose mio figlio, mi rispose invocando violentemente la madre: la madre che era a un passo da noi, ma che più non poteva rispondere ...e neanche mio fratello - di qualche camera più discosto - poteva rispondere ...mai più!

Mio figlio si accaniva nel grido filiale, dilaniandomi il cuore...

Intanto le piccole scosse telluriche si susseguivano, portandomi sulle labbra terriccio e polvere ...Se le mie mani fossero state libere, avrei tolto facilmente quell' ingombro, ma, incatenate, mi soffocavano.

Sentivo imminente la fine, ed il supplizio era così atroce che la fine stessa invocavo col desiderio: ma rabbrividivo all'idea di lasciar mio figlio in quella situazione ...mentre poco prima ero rassegnato, allora mi riprese una volontà disperata di vivere e salvare mio figlio ...Io e mio figlio fummo trasportati all'aperto, in Piazza Amalfitano - ora assorbita dal Palazzo del Genio Civile - e adagiati su qualche materasso steso per terra, circondati dalle cure dai pochi vicini superstiti, raggruppati con essi, annichiliti dalla sciagura comune, terrificati, ...lì aspettavamo che ci restituissero i cadaveri dei nostri cari ...>>.

[Giuseppe Valentino, "Nel Venticinquennio. La ricostruzione di Reggio", 1933]

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